L’attacco di Panico. Il male del millennio. Non guarda in faccia a nessuno. Me compresa.
E’ stato difficilissimo per una randagia come me. Abituata a prendere ed andare, senza pensare troppo. Probabilmente, fermarmi e pensare in quel periodo era troppo doloroso, era meglio partire. Scappare. In qualche modo, mi dava l’effimera sensazione di poter avere la situazione costantemente sotto controllo. Tutto era già accuratamente pianificato, emozioni comprese (per un lungo periodo mi sono perfino vietata di piangere, il che per un emotiva come me è tutto dire) e così sarebbe dovuta andare avanti la mia vita. Ci avevo messo tanta di quella energia ed ostinazione, da essere seriamente convinta che fosse la cosa giusta da fare.
Poi, improvvisamente, il buio. Nero pesto. Una notte, sono stata investita da un fiume in piena di sensazioni che non riuscivo a controllare. Il mio corpo non mi ascoltava più. La mia testa non mi ascoltava più. Tutta la spirale di controllo in cui mi ero rifugiata, era andata su per il camino in un attimo. La mia mente era evidentemente satura ed a dirla tutta, per svariati mesi, mi aveva lanciato un sacco di segnali per avvertirmi che stavo arrivando al limite. Segnali, che avevo volutamente ignorato continuando imperterrita per la mia strada.
Ci ha pensato il mio corpo ad atterrarmi. Perché credetemi, mi ha fisicamente impedito di muovermi. Mi sono completamente paralizzata, le mani contratte e la bocca storta. Terrorizzata e dolorante sdraiata per terra nel bagno dei miei genitori, in preda a lacrime ed urla.
Ricordo che mio padre mi ha alzata di peso, convinto che stessi avendo un Ictus, pronto a portarmi in ospedale. Poi, un barlume di ripresa, ho iniziato a muovere le dita dei piedi. E molto lentamente ho ripreso il controllo del mio corpo. Per la mia mente ci sarebbe voluto molto di più. Era solo finito il primo di una serie di round, ma ancora non lo sapevo.
Quella notte è stata l’inizio di un percorso difficile. Un percorso fatto di lacrime (mamma mia quante lacrime), di emozioni “vomitate” come un fiume in piena, di accettazione dei miei limiti, di perdite di controllo, di paura, di mani paralizzate mentre ero al volante e conseguenti mezz’ore accostata al lato della strada. Di rabbia feroce verso il mondo ma anche verso me stessa. Di stanchezza violenta. Di solitudine, quella che fa male nel profondo ma ad un certo punto inizia a farti anche bene nel profondo, perché ti porta a conoscerti e ad imparare a godere dei momenti solo per te. Di famiglia, che fa cerchio attorno a chi ha bisogno di protezione.
Di perdita di peso e di appetito.
A cucinare non ci pensavo nemmeno più e mangiare era diventato una lotta. Non mangio, perché se non digerisco mi sento male e se mi sento male mi paralizzo. Il classico del cane che si morde la coda.
I piatti che mi hanno riavvicinato al cibo, oltre al mio adorato grana padano, sono state le zuppe e le minestre. Calde e confortanti. Leggere e gustose.
A distanza di anni posso affermare che la zuppa di lenticchie sia nella mia top 3 delle zuppe del cuore.
La fase critica, per me, è durata circa un anno. Con l’aiuto della mia famiglia che ho sfinito a forza di parole e di una psicologa che mi ha fatto vedere tutto da una prospettiva diversa da quella che avevo, ho ritrovato una me stessa più serena e consapevole.
Consapevole del fatto che le lacrime non sono per forza segno di debolezza, che il fisico non è tutto e che le cose nella vita a volte finiscono. Perché forse era destino così. Forse era giusto così. Che l’unico controllo che ho è quello su me stessa, il che, da un certo punto di vista, è stato una liberazione.
So, che ci sono tante persone, che in questo momento soffrono di attacchi di panico e voglio dirvi due cose.
Primo ed importantissimo. Solo voi potete decidere di fare qualcosa, non c’è nessun’altro che può agire al posto vostro.
Secondo ed altrettanto importante. Non sempre si può fare tutto da soli. Alzare la mano e chiedere aiuto è importante. Una psicologa, esterna a tutto il cataclisma che vi sta investendo, può essere la vostra chiave di volta per incanalare la miriade di sensazioni che sentite e lasciar andare fardelli che magari vi portate dietro da anni. Non abbiate vergona, si tratta della vostra salute. Secondo me una seduta dallo psicologo farebbe bene a chiunque almeno una volta nella vita perché tutti ne avremmo bisogno.
Nonostante in certi momenti abbia avuto la sensazione di aver scoperchiato il vaso di Pandora, sappiate che se tornassi indietro non cancellerei un secondo di quello che è stato perché solo così ho trovato la forza di essere la persona che sono oggi.
Nei momenti bui mi ripetevo sempre questa frase che mi ha aiutato tanto: “non hai coraggio se non hai paura”.
Per oggi niente canzone. La zuppa di lenticchie si cucina in religioso silenzio.
ZUPPA DI LENTICCHIE che scalda l’anima_(ricetta vegan, gluten free e senza lattosio)
Ingredienti
- 200 gr di lenticchie secche
- 150 gr di passata di pomodoro
- 2 carote
- 1 gambo di sedano
- 1 cipolla
- 2 spicchi d'aglio
- 1 rametto di prezzemolo fresco
- acqua qb
- olio evo
- sale e pepe
Preparazione
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Tagliate a cubetti il sedano, la carota e la cipolla. Fate soffriggere dolcemente con un filo di olio evo.
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Versate le lenticchie in pentola e fate tostare brevemente. Aggiungete 2 bicchieri di acqua fredda, la salsa di pomodoro ed aggiustate di sale e pepe.
Fate sobbollire per 10 minuti, poi unite l'aglio tritato.
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Continuate la cottura per altri 10/15 minuti.
Servite caldo spolverando con il prezzemolo fresco tritato.