Trent’anni. Bisogna celebrarli come si deve non credete?
I miei genitori, che la pensano come me, mi hanno fatto il regalo più bello che potessi pensare di ricevere, un viaggio. Anzi, il budjet per un viaggio, con la raccomandazione di andare dove preferissi e godermi l’esperienza.
Io, da brava ex operatrice turistica, ho rispolverato le conoscenze ed ho organizzato un giro di 20 giorni in Giappone per me e Carlo.
Credo che un pezzo del mio cuore sia rimasto la, tra il caos colorato di Tokyo, i ciliegi di Kyoto ed il silenzio triste di Hiroshima.
Devo ammettere però, che l’arrivo è stato a dir poco devastante. Dopo tredici interminabili ore d’aereo, siamo arrivati, estremamente provati a Tokyo. Dopo aver girato su e giù per i 5 piani dell’aeroporto, abbiamo trovato un’info-point dove una ragazza gentilissima ci ha indicato la strada da percorre.
Un’ora, un mio collasso in mezzo alla strada e due cambi di metro dopo eravamo finalmente arrivati in Hotel.
Dal giorno successivo siamo partiti alla scoperta del Giappone.
Tokyo, come buona parte del Giappone, per me ha significato grandi contrasti. Ci sono posti, come l’incrocio pedonale di Shibuya, il più grande del mondo, dove, allo scattare del verde centinaia di persone si riversano in strada. E passarci, ma più di tutto vederlo dall’alto è davvero emozionante.
Oppure Takeshita Dori, una strada pedonale, che è la zona fulcro della moda giovanile, sempre affollata da ragazze e ragazzi in cerca di abiti da lolita, costumi e parrucche. È anche detta strada delle Harajuku girl, nome che prendono dalla stazione che si trova davanti alla via.
La cosa pazzesca è che alle spalle della stessa stazione, c’è il Meiji Jingū, un santuario immerso in chilometri di verde incontaminato, con barili di sakè colorati sul cammino, un grande tori che indica l’ingresso al tempio e vasche di acqua sacra dove potrete lavare le mani seguendo un antico rituale giapponese.
Vi sembrerà di essere catapultati in un altro modo fatto di pace e silenzio. Noi, abbiamo avuto la fortuna, di assistere anche ad un matrimonio, che si stava celebrando quel giorno.
Poi è stata la volta del super affollato mercato del pesce, dove il ritmo è frenetico e non ci si può sedere un attimo dove ho mangiato delle super polpette di polipo mentre camminavo tra le bancarelle.
Oppure le mille bancarelle davanti al tempio di Asakusa che offrivano cibi per tutti i gusti, dove, incuriositi dalla fila che si snodava fuori da un panificio, abbiamo provato il Melon Pan. Un panino dolce e caldo coperto da uno strato croccante di biscotto.
Per poi passare alla tranquillità di un ristorante, dentro il mastodontico centro commerciale di Rippongi Hills, nel quale io e Carlo ci siamo divisi un curry di verdure e riso rosso che ci ha lasciato senza parole. Da quel giorno sono diventata una mangiatrice seriale di curry!
Ci siamo anche avventurati alla ricerca del caffè più buono di Tokyo e siamo approdati a Kitazawa una zona molto caratteristica in periferia dove abbiamo trovato il Bear pond. Ne avevamo letto su un blog e tutti lo definivano come la mecca del caffè a Tokyo. Essendo andati di pomeriggio, però, siamo riusciti solo a bere il caffè americano, perché l’espresso lo servivano solo la mattina. Mah, vai a capire. Il responso? Direi che il caffè non è una bevanda che appartiene al popolo giapponese, però il posto era molto carino e lo sforzo per cercare di servire un buon prodotto era evidente. L’unico vero problema, come in un sacco di altri posti era l’altezza della porta, guardate dove arriva la testa di Carlo!!
Ok, adesso devo confessare una cosa. A pranzo mangiavamo sempre giapponese, ma la sera, quando abbiamo soggiornato a Tokyo, abbiamo trovato un posticino a Shinjuku dal nome AL DENTE. Quattro ragazzi giapponesi, preparavano pasta espressa, dopo essere stati in Italia ad imparare la cottura e le salse. Un piatto caldo di pasta dopo una giornata in giro ci rimetteva a nuovo. Bravi ragazzi!!! Siete stati un porto sicuro nei momenti difficili.
Dopo una settimana a Tokyo, abbiamo preso il treno veloce per arrivare a Kyoto. Il Giappone old style. Esattamente come lo immaginavo da sempre. Esattamente come quello che vedevo quando guardavo Kiss me Licia. Case di legno e tetti spioventi, Geishe ed apprendiste, si aggiravano per la città in costume tipico sotto la pioggia. Anche qui le zuppe l’hanno fatta da padrone perché il tempo non è stato molto clemente con noi a Kyoto.
Ne abbiamo approfittato anche per andare a visitare il santuario Fushimi Inari Taisha, con i caratteristici Tori arancioni. Una camminata bellissima e molto suggestiva, immersa nel silenzio della montagna, nonostante le centinaia di persone che percorrevano il sentiero.
Prima di spostarci ad Hiroshima abbiamo fatto una giornata a Nara, conosciuta per i cervi sika, che girano liberi per i parchi in cerca di biscotti dai turisti. Mi sono letteralmente innamorata di questo posto magico, mi ha dato la possibilità di staccare la spina, per un attimo ho smesso di pensare a cosa vedere, dove andare, che treni prendere. Mi sono seduta nell’erba ed ho giocato con i cervi.
Hiroshima è una città triste, che porta il peso del suo passato e lo trasmette ai visitatori. La cosa, per me più toccante, è il silenzio in cui è avvolta. Sembra che nemmeno le macchine facciano rumore. C’è un rispetto molto profondo da parte di tutte le persone che si muovono attraverso i monumenti.
Tutto racconta una storia triste, ma ci incoraggia a non mollare, a rialzarci ed andare avanti. Il Dome Bombe, è l’unico edificio rimasto in piedi dopo lo scoppio della bomba, ferito ma ancora in piedi. Ed il messaggio che trasmette è potentissimo.
Il giorno successivo siamo andati a visitare l’isola di Miyajiama, per vedere il caratteristico tori galleggiante, passeggiare tra i templi e gustarci un gelato Mandarino.
Pochi giorni prima della fine del viaggio siamo ritornati a Tokyo, impreziositi dall’esperienza indimenticabile, e la città ci ha fatto un bellissimo regalo. Ci ha fatto trovare tutti i ciliegi in fiore.
Ecco io il Giappone lo voglio ricordare così, mentre l’aereo si alza in volo verso Milano mi scende una lacrima, perché le cose belle riescono sempre a commuovermi.